A colloquio con Marco Blaser (RSI), memoria storica dell’Eurovision

Marco BlaserDalla Svizzera all’Europa, passando per l’Italia. Il lungo filo rosso che unisce le 59 edizioni dell’Eurovision Song Contest lega a doppio filo il nostro paese e uno degli stati a noi più prossimi. Non solo perché l’edizione 1956, quella d’esordio, fu ospitata al Kuursal di Lugano e condotta interamente in italiano, ma perché c’è proprio la Rai e il nostro Paese dietro all’idea dell’ESC. Stridente, se vogliamo, visti i 13 anni di assenza.

A rivelarlo in esclusiva per Eurofestival News è Marco Blaser. Classe 1935, giornalista, per lungo tempo uno dei dirigenti di punta della RSI, la tv svizzera di lingua italiana, della quale è stato prima a capo dell’informazione e poi per un decennio direttore generale.

Blaser è ad oggi una delle poche memorie storiche di lingua italiana degli ESC di un tempo, l’unico presente sin dalla prima edizione e attivamente presente fino ai primi anni 2000. Il colloquio con Blaser è lungo e piacevole ed è lui a svelarci il grande retroscena:

L’idea dell’ESC nasce dopo una riunione che a Montreux – in Svizzera – nel 1954 aveva dato vita all’Eurovisione. C’erano allora solo sette emittenti operative – racconta – che stavano progettando una rete europea per lo scambio dei programmi, iniziativa per la quale i mondiali servirono da collaudo.

Fra le tante cose si discusse anche di eventuali produzioni comuni e sul tavolo del nominato direttore generale, Bezençon, c’erano tanti progetti. Nessuno dei quali però era valido, perché non superava le barriere linguistiche. A questo punto il delegato italiano, Sergio Pugliese, direttore della Rai lanciò l’idea del concorso per la più bella canzone dell’anno da proporre durante una elegante serata di gala.

L’idea venne accettata senza riserve: nasce così il primo Festival Europeo della Canzone. Ispirato a Sanremo, ma non in concorrenza. L’idea di realizzarlo itinerante nel paese campione in carica veniva proprio da questa volontà di non sovrapporsi a quella rassegna.  E in effetti l’Eurovision non fu mai in competizione con Sanremo.

L’organizzazione della prima edizione fu affidata al servizio pubblico svizzero che stava creando anche la sezione sperimentale di lingua italiana che sarebbe poi  nata nel 1958. La SSR dopo la vittoria di Lys Assia rimise nelle mani dell’EBU l’organizzazione,  visto che l’artista era parecchio nota anche al Nord e così si fece avanti la Germania.

Uno spettacolo, l’Eurovision, che è cresciuto di anno in anno e che da “riproduzione del Festival di Sanremo” dei primi anni  (“A Lugano tutto ricordava – spiega Blaser – anche nei dettagli il Festival sanremese con Lohengrin Filippello al posto di  Filogamo, Fernando Paggi al posto di Cinico Angelini) si svincola gradualmente dal modello:

Anno dopo anno l’EBU ha cercato di rendere ogni volta più spettacolare l’evento, per cercare di far fronte nelle prime edizioni alla presenza di artisti poco noti a livello internazionale. Poi le tv furono sollecitate ad inviare in concorso interpreti molto popolari. Così arrivarono i grandi nomi e con loro anche le grandi etichette discografiche, mobilitate dall’EBU.

Senza l’Auditel, il successo del concorso erano i giornali:

Il numero di articoli presenti determinava la riuscita o meno di una edizione – spiega Blaser – poi arrivarono anche qui le vendite dei dischi. È a questo punto, a cavallo fra gli anni ’60 e gli anni ’70, che la rassegna si è consolidata. Se oggi l’Eurovision è quello che è diventato, un grande kolossal paneuropeo, lo si deve alle varie intuizioni nel corso degli anni.

Anita TraversiL’ESC dei primi anni era un po’ anche quello delle figure storiche.  Come quelle dei due commentatori di lingua italiana, Giovanni “Nino” Bertini per la RSI, che restò al timone della rassegna dal 1962 al 1983 (“Cominciammo ad irradiare la rassegna solo sei anni dopo la nascita, perché prima RSI era ancora in fase sperimentale”, spiega Blaser) e Renato Tagliani, che commentò dallo stesso anno al 1973 per la Rai.

Tagliani è scomparso nel 2000 e Blaser lo ricorda così:

Eravamo legati da una profonda amicizia. Lui negli anni cinquanta era corrispondente da Roma della Radio della Svizzera italiana e ci sentivamo ogni due giorni per telefono e in occasione delle visite a Lugano o a Roma inventavamo nuove emissioni e consumavamo ottime specialità locali.

Poi ha avuto dei problemi con la Rai, che  abbandonò per mettersi in proprio  dopo l’edizione 1973. Gli subentrò al commento Silvio Noto, che aveva lavorato anche per noi. Purtroppo non aveva la prontezza per gestire la fase delle votazioni, seppure allora avvenivano per telefono, via Ginevra.

Fra i tanti ricordi, c’è spazio anche per l’edizione di Roma 1991. E anche in questo caso, i giudizi non sono positivi: “Ne parlammo alla RSI in una trasmissione in occasione dei 50 anni della tv e c’era ospite l’allora rappresentante Sandra Simò: disse che l’organizzazione romana fu un problema per tutti e che  finì per mettere in cattiva luce sia la Rai che il direttore Carlo Fuscagni. Ma forse era Cinecittà a non essere adatta ad eventi come l’ESC”.

Complessivamente sono  9 le partecipazioni della RSI in quota Svizzera: due Anita Traversi, Barbara Berta, l’italiano Gianni Mascolo  (“La selezione del 1968 fu curata dalla Rai e vedeva in concorso anche Ricky Gianco”, rivela Blaser), gli italiani Duilio e Piero Esteriore, poi Paolo Meneguzzi, Sinplus e Sebalter, cui si aggiungono gli altri “italiani” non in quota TSI/RSI Franca Di Rienzo (“spesso ospite da noi”), Paola Del Medico (2 volte), Mariella Farrè (2 volte di cui una con Pino Gasparrini). Oltre a Jane Bogaert, in gara nel 2000 con “La vita cos’è”, accompagnata in qualità di insolito corista da Al Bano (un curioso scambio, visto che lei a sua volta era stata corista per l’artista pugliese).

Ma in fondo, parla italiano anche l’ultimo successo svizzero: “Il testo di Ne partez pas sans moi di Céline Dion era della ticinese Nella Martinetti, storica paroliera elvetica – dice Blaser – e noi siamo orgogliosi di aver contribuito al lancio internazionale di questa artista. Il nostro privilegio è però quello di poter essere stati all’origine di questo straordinario progetto, voluto dai pionieri della TV europea, a Lugano nel 1956”.

E oggi? “Oggi come allora l’impegno è di esserci sempre, nelle selezioni. Siamo una minoranza, all’interno della Svizzera, ma mettiamo al servizio dell’Eurovision tutta la nostra professionalità e la nostra grande passione. E chissà, magari un giorno porteremo di nuovo a casa il trofeo”.


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Emanuele Lombardini

Giornalista, ternano, cittadino d'Europa

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