“Verona”, “Perdersi” e le altre: quando l’Eurovision (ri)canta in italiano
In questi giorni che ci separano dal via dell’edizione 2017 dell’Eurovision Song Contest vi regaliamo qualche ‘chicca’. Sta tornando infatti una antica tradizione per gli artisti in gara, quella di incidere la loro canzone anche in italiano.
E nel caso di “Verona” degli estoni Koit Toome e Laura non poteva essere altrimenti, visto il tema della canzone. Il brano è contenuto fra l’altro in un best of di Laura in uscita a maggio insieme ad un packaging di vari remix (fra cui anche un clamoroso mashup con “You’re my heart, you’re my soul” dei Modern Talking).
Il testo è la trascrizione fedele – un po’ troppo, diremmo – della versione inglese. E anche Claudia Faniello, maltese di origini campane, non ha lasciato cadere l’occasione di fare una versione italiana di “Breathlessly”. Si chiama “Perdersi“ e potrebbe essere uscita da un qualunque Sanremo dei primi anni ’90.
In passato, molti artisti si sono cimentati in questo ‘esercizio’, in qualche caso con ottimi risultati. Ecco una piccola – non esaustiva – selezione. Del meglio e del peggio.
Soprattutto negli anni ’60, venivano assoldati i migliori parolieri italiani per le versioni da immettere nel nostro mercato. “Zwei kleiner italiener“, di Connie Froboess che raccontava di due emigrati italiani che volevano tornare dalle rispettive fidanzate Tina e Marina vendette 1,2 milioni di copie (nel 1962!) e nella versione nostrana “Un bacio all’italiana” esaltava le virtù taumaturgiche del suddetto gesto.
Françoise Hardy realizzò nel 1963 un intero album nella nostra lingua (“Françoise Hardy canta per voi in italiano”) che comprendeva “L’amore va“, versione italiana della sua “L’amour s’en va”, uno dei pezzi più belli mai eseguiti sul palco eurovisivo.
Nel 1965 France Gall con “Io si tu no“, versione della sua “Poupée de cire, poupée de son” arriva sino al numero 13 della nostra classifica: resterà la posizione più alta mai raggiunta da una canzone di un artista eurovisivo straniero da noi fino a Conchita Wurst. E grande successo ebbe da noi anche “La danza delle note“, versione italiana di “Puppet on a string” di Sandie Shaw (1967)
Nel 1969 si cimentarono in italiano anche tre delle quattro vincitrici: Salome con “Vivo cantando“; Frida Boccara con “Canzone di un amore perduto”, versione della sua “Un jour, un enfant” (non disponibile in rete) e anche Lulu che produsse una (rarissima) versione italiana di “Boom Bang a Bang” anche questa purtroppo non più disponibile in rete.
L’anno prima “La, la, la” di Massiel fu cantata in varie lingue. La ricantò anche colui che doveva originariamente esserne l’interprete, ovvero Joan Manuel Serrat, anche in italiano.
Anno 1970: merita un ascolto la versione italiana di “Gwendolyn” di Julio Iglesias, primo di tanti pezzi in italiano di successo del cantautore madrileno. La trionfatrice del 1972 Vicky Leandros incide “Dopo te“, versione nostrana di “Apres toi”: lei parla sei lingue, non l’italiano, ma lo canta bene lo stesso.
Quella del 1973 Anne Marie David incide ben due versioni di “Tu te reconnaitras”, “Non si vive di paura” e “Il letto del re”. Nello stesso anno “Eres tu”, tuttora il pezzo più coverizzato della storia del concorso dopo “Volare”, in italiano diventa “Viva noi“.
“Un po’ di pace” era solo una delle 10 versioni diverse nelle quali la diciassettenne Nicole incise quella “Ein Biβchen frieden”, con la quale spazzò via i rivali nel 1982 prima di vendere 3,5 milioni di copie.
L’italiana Sandra Caldarone, in arte Sandra Kim aveva 13 anni quando nel 1986 vinse l’Eurovision Song Contest (ma la tv ne dichiarò 15) con la hit mondiale “J’aime la vie”. Benché l’Italia in quell’anno fosse assente, lei omaggiò la sua terra con questa versione del brano: anche qui, traduzione letterale.
In tempi recenti si ricorderà la versione trilingue di “Round and round” di Tinkara Kovac, in un italiano impeccabile (ma come è noto l’artista lo parla benissimo) e con il testo del friulano Alberto Zeppieri.
Nel 2012 la bosniaca Maya Sar realizzò “I passi che fai“, versione italiana di “Korake ti znam”, arrangiata da Adriano Pennino: anche qui un buonissimo italiano. Fino ad arrivare a “Non ero io“, versione italiana di “I didn’t know” di Serhat con testo di Mariella Nava.
Ma la lista come detto, è lunghissima e qui abbiamo preso in considerazione solo gli interpreti originali: se andiamo a considerare anche le cover – fatte anche da italiani – il campo diventa vastissimo. Meno vasta, la lista degli italiani che hanno rifatto i loro pezzi in altre lingue, soprattutto in anni recenti. Anche questo, se vogliamo, è un indicatore del concetto di mercato musicale che c’è da noi.
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