Sanremo 2022: cosa accadde all’Eurovision 2018 con Fabrizio Moro (ed Ermal Meta)

Di questa storia abbiamo già parlato un anno fa, quando a Sanremo tornò Ermal Meta.

Ma, se allora ci si concentrò soprattutto sul destino dell’autore diventato cantautore, questa volta andiamo a parlare di Fabrizio Moro, un uomo che cantautore è sempre stato, con una carriera forse meno riconosciuta in termini di certificazioni rispetto ad altri, ma di sicuro prestigio viste le vette raggiunte.

Moro Fabrizio

Credits: EBU / Andres Putting

Fabrizio Moro, prima dei Måneskin, era stato l’ultimo artista di Roma a rappresentare l’Italia all’Eurovision nel 2018. E lui Roma l’ha sempre portata nel cuore, nei modi, in quello che è una sorta di mondo a metà tra due generazioni di canzone d’autore e non.

Prima di arrivare alle notti di Lisbona, Fabrizio Mobrici, questo il suo vero nome, è personaggio tormentato. Un passato di droga sconfitta, raccontato in più interviste separate prima e dopo l’Eurovision a Di Più, Radio Deejay, Corriere della Sera, e di lotta per arrivare tra i big della musica.

Sanremo l’aveva già vissuto nel 2000, ma il Festival dell’affermazione è del 2007. Parliamo di uno degli anni più particolari all’Ariston, dove vincono due testi non sempre facili da digerire.

Uno, tra i Big, è quello di Simone Cristicchi, “Ti regalerò una rosa“, l’altro, tra i Giovani, è proprio quello di Fabrizio Moro, “Pensa“. Una dedica alle vittime della mafia, per lui che rifiuterà sempre l’etichetta di cantante impegnato.

La scalata appare difficilmente arrestabile: “Eppure mi hai cambiato la vita” è terza tra i Big nel 2008 e si inserisce a buon diritto nel novero delle pietre miliari della sua discografia.

Si ripresenta tante volte al Festival da ospite (con Fausto Leali, “Una piccola parte di te“) o concorrente (“Non è una canzone“). E nel 2010 finisce escluso nella quarta serata, in un’edizione che sarebbe di enorme qualità se non la rovinasse un certo trio, l’annessa (ovvia) ribellione dell’orchestra e gli scandali dei call center.

Moro è terzo come autore nel 2012 con “Sono solo parole” lasciata alla voce di Noemi, e nel 2016 dona “Finalmente piove” a quel Valerio Scanu che del 2010 fu vincitore.

Nel 2017 lui ancora non lo sa, ma tra la sua “Portami via” e la “Vietato morire” di Ermal Meta inizia un primo, strano incrocio dal vivo. L’uno vince il Premio Lunezia per il miglior testo, l’altro arriva terzo e si impone in maniera definitiva anche come cantante.

Dalla canzone d’amore alla canzone autobiografica, si passa in breve tempo al progetto comune. Questo si chiama “Non mi avete fatto niente”. Un progetto travagliatissimo, che si ritrova prima a rischio squalifica dal Festival di Sanremo 2018, poi viene salvata dalla lettura del regolamento e infine trionfa, come era nelle previsioni della vigilia.

A quel punto, si tratta di unire due artisti, due storie, due case discografiche, in un’avventura: quella verso Lisbona.

L’Eurovision si tiene nella terra di Salvador Sobral, che l’anno precedente aveva dato la prima gioia al suo Paese mentre, in Italia, si pensa a cercare di capire come riprendersi dalla botta di Francesco Gabbani, da grande favorito a sesto con “Occidentali’s Karma“, dopo che il peso del favore del pronostico, in quel caso, non è stato retto.

Dell’operazione eurovisiva è protagonista soprattutto Meta, che oltre a parlarne in più occasioni “sgancia” il colpo a sorpresa degli overlay a schermo che alza le quotazioni italiane, ma anche Moro lavora dietro le quinte.

Il viaggio dei due a Lisbona per la cartolina resta un alto momento di battute tra di loro e su Twitter.

I fan club dei due cantanti ricordano ancora il verso fatto alla canzone di Toto Cutugno “Voglio andare a vivere a Lisbona“, o il momento in cui, nel presentarsi, al professionale “Eu sou Ermal“, Moro si aggiunge in maniera goliardica con “Io sò Fabbrizio“, dove “Fabbrizio” si legge alla romana e con le b che vengono sempre più allungate dagli avventori del social dell’uccellino.

Lisbona, maggio 2018. I due arrivano. S’abbracciano, dato che giungono da luoghi diversi. Prima prova. Due coristi, Andrea Vigentini (storicamente al fianco di Meta) e Roberto Maccaroni. Belle impressioni.

Ermal torna in Italia per un giorno, impegnato come giurato ad Amici di Maria De Filippi, poi ritorna subito in Portogallo. Fabrizio resta. Arriva la seconda prova. Le buone impressioni si confermano anche se i media sembrano non dare molto credito all’Italia in vista del successo finale.

Ancora altre prove, nelle quali la professionalità viene riconosciuta, ma l’esibizione viene bollata come poco d’impatto. Tra una performance l’altra, Meta e Moro rilasciano anche interviste per far conoscere il vissuto portoghese. Anche a noi.

Mercoledì di voto delle giurie. Ad assistere alla principale prova della seconda semifinale ci sono anche i due portacolori dell’Italia. Stacco. Green Room. Fabrizio prende il microfono, e non lo ferma più nessuno. “Domenico, this is for you. Volare, oh oh, cantare, oh oh oh oh“.

Il tributo intonato al Modugno che, sessant’anni prima, fu terzo con la canzone italiana più famosa di tutti i tempi. Altice Arena impazzita. C’è anche un’esibizione da registrare, perché dal 2016 (finalmente) anche le Big 5 hanno più spazio nelle serate di semifinale.

Nella notte dopo la seconda semifinale viene svelato l’ordine di esibizione della finalissima di sabato. All’Italia viene assegnata la 26esima posizione, la gran chiusura, una scelta dell’organizzazione che sorprende, vista la natura poco spettacolare del numero italiano.

Possono succedere solo due cose: o si vola o si crolla. Subito prima di noi c’è Cipro, con Eleni Foureira, una delle tre E d’Albania in concorso con Ermal Meta ed Eugent Bushpepa. “Fuego” è forte, fortissima, si dice possa vincere.

Ma, la notte del 12 maggio 2018, succede qualcosa di raramente visto nella storia italiana in Europa. Qualcuno fa la performance della vita proprio lì. Quel qualcuno è Fabrizio Moro, e c’è da dire che Ermal Meta canta, e canta bene.

Ma per l’uomo venuto da Roma quella sera c’è qualcosa di magico, con la voce che crea un che di miracoloso. Un messaggio potente, aiutato dalle scritte in sovrimpressione che scorrono in varie lingue, che arriva alla gente, eccome se arriva.

Nell’Eurovision in cui giurie e televoto si prendono a cazzotti come mai è successo prima, se da una parte c’è un magro 17° posto dei giurati con 59 punti, dall’altra comincia a succedere di tutto.

“With 21 points, Sweden”, la gigante nordica non incontra il gusto del pubblico da casa. Cade anche l’Austria. Cade la Francia. Cadono come birilli tantissimi. Primi 10. L’Italia non viene ancora chiamata. Si continua, continua e ancora continua. Primi 6, 5, 4.

L’Italia è a sorpresa nelle prime 3 del televoto. Federico Russo, in telecronaca, contiene la sua gioia, Serena Rossi no.

Mentre Doron Medalie, l’israeliano autore della “Toy” che vincerà il concorso, a stare zitto proprio non ce la fa e dalla green room, leggendo il labiale, lo si vede chiaramente sperare nella caduta dell’Italia (primo di una serie di gesti quantomeno discutibili), arrivano 249 punti dal televoto. 249. Contro i 253 di Cipro. Missione compiuta. 308 punti in totale, un onorevole quinto posto.

Forse questa notte tanti la sottovalutano. Ma, senza il 2017, non ci sarebbe stato il 2018. E senza il 2018 non ci sarebbe mai stato tutto il resto. Senza Fabrizio Moro che crea qualcosa di inspiegabile, non staremmo qui a parlare di tutto questo, oggi.


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