Eurovision 2022, intervista a Giudi: “Con Jezinky volevo fare una cosa diversa”

Tra i sette artisti che sono in gara nella selezione nazionale della Repubblica Ceca, ESCZ, c’è anche Giudi. Non solo è l’unica a portare un testo bilingue, in inglese e in ceco, ma è anche molto legata all’Italia. Sposata con un italiano, trascorre parte della sua vita ad Aradeo, dove vive un’artista che l’Italia ha visto in gara all’Eurovision Song Contest sette anni fa, Emma Marrone.

Abbiamo avuto modo di raggiungerla per una lunga intervista, molto piacevole e per la quale le va un immenso ringraziamento, in cui si parla di tutto: musica, Eurovision, Italia e non solo. Sopra ogni cosa, però, quello che si legge è la felicità, quella di poter parlare nella lingua di un Paese che ama molto e nel quale vorrebbe tornare da protagonista.

Come nasce “Jezinky”?

L’ho scritta a settembre. Ero in una songwriting session nel Sud Italia. Quel giorno sapevo di voler fare una cosa diversa da quelle che faccio di solito. Sono partita con l’idea di questa linea base, e sopra ho iniziato a fare layer e voci. Tutto molto spontaneo. È una cosa che sto ancora elaborando.

L’altro giorno, senza dire nulla, stavo cantando e ricordo che dopo 2-3 ore ho respirato e ho detto ‘wow, ce l’abbiamo fatta’, la canzone è nata e non so nemmeno come. Ricordo quando Joshua s’è girato verso di me e ha fatto ‘Che cos’era?’, e stavamo tutti nella stanza presi da quest’energia, che era una cosa così spontanea e molto bella.

All’epoca non immaginavo di poter partecipare a qualsiasi concorso. Non era una canzone scritta per l‘Eurovision. Era una cosa molto forte anche per me. Quel giorno eravamo nel sud della Boemia, vicino alla Foresta Nera, ed era un ambiente molto bello. Quella è  l’ispirazione da cui è partito tutto, quel posto magico.

Quando ho iniziato a cantare mi è venuta in mente la parola Jezinky, che sono le streghe nei boschi, delle fate un po’ cattive che vengono da questa tradizione ceca. È un concetto mitologico, sono creature magiche, misteriose.

Mi è venuta questa parola e in quel momento ho pensato che fosse una bella metafora dei sentimenti che proviamo nell’ultimo periodo, e sono le nostre paure, che sono presenti in ognuno di noi. È un istinto molto elementare che ci teniamo come umani, è un istinto di sopravvivenza. Le paure le sentivo molto presenti in ognuno di noi nell’ultimo periodo. Mi è venuto spontaneo esprimerle così nella mia musica, nella mia canzone.

Giorni dopo quest’idea ho saputo che avrei partecipato all’ESCZ. In Repubblica Ceca funziona così. In Italia avete Sanremo, qui è una call che avverte tutti, hanno provato a entrare più di 150 artisti, hanno fatto le loro scelte e io sono entrata.

Sono molto contenta, perché lamia è una canzone molto onesta, forte, e ci lavoro ancora sopra. So cos’è significato quel giorno per me. Ci sono tante domande, e giorno dopo giorno realizzo quanto tutta questa cosa che ho creato ha un senso.

Questa è la storia, che comunque è molto simpatica perché non avevo intenzione di creare qualcosa per un formato, ma l’ho creata da una pura intenzione, dall’energia che circolava nell’aria. Io ero come un catalizzatore che ha preso questa energia e l’ha cantata.

Parlavi di paure: in linea generale, o di specifiche che vengono anche dagli ultimi due anni?

Come dicevo, le paure fanno parte di noi, della natura umana. Anche gli animali hanno quest’istinto. Però nell’ultimo periodo lo sentiamo più vivo questo tema, quasi lo puoi toccare con la pesantezza che ha, è sempre presente nell’aria. Mi è venuta questa cosa spontanea, poi sono voluta andare più nel profondo e l’ho fatto anche nel video.

Sei l’unica a portare una canzone sia in inglese che in ceco, il che a maggior ragione rende questa cosa che senti tua unica a prescindere dal tipo di contesto.

È nata così. Mi è venuto spontaneo collegarla alla mitologia e alle nostre radici culturali. L’ho fatto anche in passato con altre mie canzoni di prendere ispirazioni dalla mitologia: l’ho fatto in “Icarus”, la cui storia è una metafora di un periodo non tanto felice della mia vita, in cui ho vissuto un trauma, e allora ho scritto questa canzone prendendo a prestito la metafora di Icaro. Non è la prima volta che cerco di prendere qualcosa dal passato e applicarla al futuro, al mondo artistico contemporaneo.

In qualche altra intervista dicevi che avevi scritto canzoni su persone della tua vita, ma non le avevi pubblicate ed erano tre. Ora com’è cambiata la situazione?

Io ho lanciato il mio progetto come solista nel 2017, all’inizio avevo quest’approccio molto artistico dal punto di vista della parte visuale, ed era sempre presente nelle mie canzoni. Volevo toccare temi profondi, o personali, che per me sono importanti da prendere, tirare fuori e di cui parlare. Noi siamo fortunati a vivere nell’Europa, dove non ci manca niente, diciamoci la verità. Ci lamentiamo spesso, ma stiamo abbastanza bene.

Ci sono sempre dei temi su cui bisogna spingere per guardare al futuro e aiutare le persone che non hanno ancora tutti i diritti, le minoranze. Cerco di parlare di temi che mi sembrano importanti, in ogni mia canzone c’è qualche messaggio profondo. Cerco di esprimerlo in modo astratto, non voglio creare una storyline troppo concreta, perché mi piace che un ascoltatore o chi guarda un mio video possa farsi la sua storia. Cerco di lasciare la porta un po’ aperta all’immaginazione.

Parli di legare la musica al visuale come se volessi unire tante arti in una sola, come se volessi fonderle. Ha colpito in questo senso “Visions”, in cui si vede, ad esempio, Saturno nella piramide.

La musica ha già la sua forza, ma per me la parte visuale è molto importante, perché aggiunge un’altra dimensione, un’altra prospettiva che puoi collegare, puoi raccontare un’altra storia e creare altri sentimenti. Gli occhi forse hanno ancora più peso delle orecchie, a livello di sensi. O almeno, quando vado a un concerto live è importante quel che senso, ma gli occhi sono ancora più puntati su quello che vedo.

È importante la parte visiva del dare un altro sfondo all’atmosfera. Sono una grande amante delle arti performative, perciò collaboro con ballerini, performer, bravissimi artisti che riescono a dare quest’altro tocco. Tutte queste parti cerco sempre di collegarle. Anche lo staging. Per me è tutta una cosa intera.

Sono abbastanza perfezionista, devo dirlo, forse sono un po’ ossessiva, ma sono così, ci tengo molto. Se voglio esprimere qualcosa, la prendo in mano fino all’ultimo dettaglio, perché solo così può uscire come la voglio trasmettere.

E anche NoBody colpisce, perché si sentono i suoni tipici, si sente qualcosa di diverso.

 L’abbiamo fatta anche questa con JaCobra (Jakub RA nei credits di quel video, N.d.R.), un mio amico artista bravissimo che lavora da diversi anni con me nei concerti, perché in ogni canzone prendiamo sempre un concetto diverso. Questo processo è molto interessante perché siamo molto collegati nei pensieri, ci sentiamo vicini per come sentiamo le emozioni.

Io ho sempre qualche visione, quando scrivo una canzone, poi gliela faccio ascoltare e voglio sentire quello che dice lui prima. E lui dice quello che già ho io nella mia mente. Questa per me è una collaborazione molto unica per me, questa simbiosi che si è creata tra di noi. Ci piace davvero creare insieme e sono contenta che sia venuta con me anche in questa situazione e sia con me anche all’ESCZ.

Se ti dico Karel Havlicek, cosa mi dici?

Si tratta di un compositore di musica classica. È bravissimo, ha vissuto tanti anni a Los Angeles, dove ha avuto tanto successo e ha fatto anche colonne sonore per Batman e altre belle cose. Per me è stato un onore incontrarlo. È successo in modo molto semplice: gli ho scritto su Instagram perché sentivo che sarebbe stato piacevole collaborare con lui. Era per “Icarus”. Mi ha risposto e mi ha detto “Mandami la canzone”. Io di solito faccio molte versioni della stessa canzone.

Il mio segno zodiacale è Gemelli, e mi sembra, ma è abbastanza vera, che sono più persone dentro una. Ho capito che sono fatta così, che devo accontentare tutte le parti che vivono dentro di me. Quando faccio una canzone, di solito sento una parte di me che ancora non ha finito di parlare, e quindi ho fatto così con “Icarus”, di cui è nata una versione elettronica.

Sopra ci lavorava anche un’artista bravissima del Sud Italia, si chiama Nunzia Del Popolo, che ha suonato le parti di arpa e con cui abbiamo fatto i provini insieme. Quando ho cantato sull’arpa ho pensato che sarebbe stato bello fare una versione sinfonica. Quindi Karel ha creato questa bellissima versione con piano e violini.

Con lui ho iniziato a collaborare su questa canzone, ha dato il suo tocco anche su “Jezinky” che ora sto portando in gara. Anche con questa canzone, essendo molto unica, ho fatto tutto a cappella, solo con le voci.

Racconta la mia storia. È molto “nuda”, non c’è la batteria, nessuno strumento. Mi è piaciuta davvero, stavo attenta a come portarla avanti perché quando è nata la canzone sapevo che c’era qualche magia dentro. Quasi spontanea.

Di solito ogni artista ti conferma che le più belle idee che hai sono le prime, perché sono quelle più spontanee, vere. Il processo di creare le canzoni è un po’ più complicato: fai la demo, poi ci lavori, cambi qualcosa, aggiungi. Ti allontani di più dall’idea della prima magia che c’era. Perdi quella spezia che tenevi in mano dal primo momento.

“Jezinky” già sentivo che fosse perfetta, per questo stavo molto attenta a come veniva portata avanti. Come una fata che dice “stai attenta”, ci sono quelle storie delle fate che proteggono i bambini quando nascono, non so se ci siano anche in Italia. Cercavo di proteggere questa essenza elementare. Credo di essere riuscita a mantenerla molto organica, vera, originale, com’è nata.

L’ho mantenuta così, ma nello stesso tempo non riuscivo a dormire la notte, però dicevo “ma forse questa canzone sarebbe bellissimo se verso la fine avesse questa cosa epica”. Che ci sta. Ho scritto a Karel, che è molto onesto. Se prende qualche musa, poi fa delle cose straordinarie. Se non le sente al 100%, non le fa. È molto diretto.

Gliel’ho mandato, si è innamorato del pezzo e in meno di 24 ore mi ha mandato la versione sinfonica, che mi ha preso molto, perché è riuscito a creare con i violini, con la parte orchestrale, a disegnare un’altra storia sopra la storia di “Jezinky”. Secondo me è riuscito a disegnare la nostra natura: con la sua versione viaggio tra i paesi, nel bosco della Foresta Nera. Sento quest’essenza in più. Non riesco a dire per me qual è quella più “forte” tra queste due versioni che esistono.

Cambiando un po’ prospettiva: se puoi fare un parallelo tra la percezione dell’Eurovision che c’è in Repubblica Ceca e quella che c’è in Italia, considerato anche il legame che abbiamo noi con Sanremo, cosa vedi?

Credo che in Italia avete delle radici culturali molto importanti. Non che in Repubblica Ceca non le abbiamo, ma l’artista qui è visto in modo un po’ diverso. In Italia culturalmente c’è una storia molto ricca, siete un’ispirazione in tutto il mondo. È difficile confrontare.

Parlando di Eurovision, noi non abbiamo nulla di simile a Sanremo, con la storia di Sanremo. Da noi non risuona tantissimo nelle persone, non lo vivono questo momento ed è un peccato perché l’Eurovision, più che come una competizione, lo vedo come una festa, una celebrazione. Un po’ come il mondo sportivo, e voi italiani sapete meglio di altri quant’è forte questa emozione di stare tutti insieme.

È l’unico evento mondiale che mi trasmette questo sentimento di essere orgogliosi, di stare tutti insieme, nello stesso momento, e mi sembra una cosa importantissima specialmente nell’ultimo periodo, in cui mi sembra che ci stacchiamo invece di collegarci, che andiamo agli estremi. È una bellissima opportunità per creare un filo, per trascorrere un momento tutti insieme.

Parlaci del legame con l’Italia, che si vede anche nel video di Seaside, realizzato tra i trulli di Alberobello.

Mi sono sposata con un italiano, da 13 anni viviamo un po’ a Praga e un po’ nel sud Italia, ad Aradeo, vicino a Lecce.

Che è il paese di Emma, fra l’altro.

Ed è una cosa incredibile. Quando sono venuta la prima volta non potevo credere come un paese così piccolo potesse avere tantissimi artisti. Ed è una cosa che mi ha stimolato. Nella mia storia musicale Aradeo ha fatto una grande parte. Non c’è solo Emma, ci sono gli Après la Classe, c’è anche Gabriele Blandini che è trombettista che suona con Manu Chao, c’è un chitarrista bravissimo. Ma anche in tutta la provincia di Lecce, i Negramaro, e tutti questi artisti straordinari.

Per me è stato uno stimolo enorme, perché ho iniziato a entrare in questi circoli, magari mi invitavano a una jam session a Lecce. Altra cosa simpatica: ad Aradeo viene spesso Manu Chao, fanno spesso le jam session qui, ed era come un sogno e io mi dicevo, ma che succede qui?

C’è un’aria mediterranea che fa uscire tutti questi talenti? Ho grandi stimoli qui. Sono 13 anni che sono qui e uno dei motivi per cui ho deciso di presentarmi alle selezioni è perché sapevo che quest’anno si va in Italia. Per me è davvero una casa ormai.

A Torino ci sei mai stata?

Mi sa di no. Sai cosa? Non sono stata ancora da tante parti in Italia. Avete così tanto da offrire che non basta una vita per guardare quello che l’Italia offre.

Che è quello che dicono anche, di Roma, i romani: non basta una vita per scoprirla tutta, quella famosa e quella “sotterranea”.

Vorrei viaggiare molto in Italia. Questo è il mio prossimo desiderio. Viaggiando molto di solito non hai tanto tempo di scoprire, di girare, non ti rimane la forza di continuare. Quando ho tempo libero a casa mi rilasso, ma mi manca esplorare l’Italia. Lo desidero molto.

Hai anche viaggiato parecchio per fare musica.

Lavoro molto a livello internazionale: il mio management è a Londra, il mio produttore nel Massachusetts, per qualche tempo ho suonato con bravissimi musicisti in Italia, come Antonio Dema (che sta per De Marianis, N.d.R.) e Gino Semeraro, che creano uno splendido duo, Yorker. Abbiamo fatto un po’ di date in Europa. Sto cercando di esplorare. È bellissimo.

Purtroppo negli ultimi due anni non è stato possibile, spero che possiamo presto tornare a viaggiare, è una parte della mia vita. È una cosa bellissima, ci piace molto scoprire nuovi Paesi con mio marito. Voi italiani siete i viaggiatori numero uno, ogni volta, dove andiamo, anche al di là dell’Oceano, incontriamo italiani! Per quello mi sono accorta che sono i viaggiatori numero uno, per questo penso potete capire di cosa parlo. È una passione.

Su Spotify cade l’occhio su un dato: a parte Praga e Brno, sei molto ascoltata negli States.

Sì, è una cosa che succede da parecchi anni: iniziano a mettermi nelle playlist delle radio in tutto il mondo. Succede anche in Sudamerica, in Brasile, in Ecuador, Cile, Venezuela, ma anche in Mongolia, Filippine, e in Europa (Spagna).

Anche in Italia hanno suonato diverse mie canzoni. Pian piano cerco di fare la mia strada. Ci vuole tempo, non succede da un giorno all’altro. Sono molto felice che la mia musica anche prima di Eurovision abbia fatto la sua strada.

Parlavamo di musica autentica. E proprio quest’anno all’Eurovision è come se si fosse creata una divisione a metà tra le canzoni con un’impronta ritenuta più autentica (Italia, Francia, Ucraina, Finlandia i primi esempi) e canzoni che parevano avere il filone comune di un pop classico questa volta non tanto premiato. Questa volta è stata evidenziata di più la voglia di produrre qualcosa di proprio.

Credo che questa sia la cosa bella dell’Eurovision. Possiamo vedere cose uniche, quello che offrono gli altri Paesi. La globalizzazione è di sicuro una cosa positiva, ma la cosa negativa, e che un po’ mi dispiace, è che perdiamo un pochino le radici di ogni cultura.

A me sembra bellissima quest’opportunità di prendere radici e presentarle rappresentando il tuo Paese e allo stesso tempo una cosa autentica, che tocca le radici culturali, la mitologia, o qualcosa che un po’ racconta l’essenza del tuo Paese. È bellissimo se questi artisti riescono a portare questo messaggio molto forte nel mondo.

Ma anche la Repubblica Ceca ha mostrato una scena musicale molto ricca: a guardare i primi anni dal ritorno c’erano Marta Jandova e Noid Barta con una rock ballad, Gabriela Guncikova con una ballad, Martina Barta con la vena jazz, Mikolas Josef,  fino a Lake Malawi e Benny Cristo. Tante sfaccettature di un mondo che sembra in evoluzione.

Anche qui c’è della strada da fare. Sarebbe bello se gli artisti prendessero un po’ più di orgoglio. Mi dispiace, ma penso succeda un po’ ovunque, che gli artisti cerchino di fare ciò che fanno in America o Inghilterra, perché è un format che funziona. Io non vedo però perché fare così.

Credo che americani e inglesi abbiano già molti loro artisti che fanno, e bene, questo lavoro. Secondo me ne abbiamo molti anche noi che fanno molta musica autentica. Da noi c’è ancora quest’equivalenza per cui la qualità è quando non puoi dire da dove viene questa canzone, che sembra che venga dall’America. Invece io non vedo perché debba essere così.

Una cosa positiva sarebbe se un artista della Repubblica Ceca riesce a rappresentare una cosa particolare. Io apprezzo molto quando gli artisti non hanno paura di fare una cosa autentica, loro, ma credo allo stesso tempo che ognuno sia libero di esprimersi e di fare ciò che gli piace. Se a uno piace il rap, ci sta.

Solo che in questo contesto di Eurovision apprezzo molto quando ci sono cose culturali che si riescono ad applicare nel contemporaneo, dare loro un respiro, creando una cosa originale, contemporanea, moderna. È una cosa positiva. La cosa elementare per me è quando un artista riesce a trasmettere una cosa vera.

Non la riesci tanto ad elaborare, c’è quel momento magico, non puoi spiegarla. Penso tu sappia di cosa parlo, quando hai visto gli artisti che hanno visto negli anni scorsi, per come hanno saputo legare con le persone. Dovendo nominare qualcuno che mi ha lasciato qualche segno, Salvador Sobral. Era una cosa vera, onesta.

Chi se l’aspettava che un ragazzo che arrivava da solo sul palco iniziasse a cantare una cosa così delicata, che trasmette così tanto. Questo secondo me è il fatto più importante: fare la musica con il cuore. Sembra un cliché, ma oggi ci sono delle canzoni che sembrano fatte così perfette, ma abbastanza simili. Cerco qualche sporcizia, qualcosa di ‘rustico’, e sarebbe bellissimo se gli artisti volessero rischiare di più.

È anche un aspettarsi l’inaspettato. Per dirne una: chi se l’aspettava che i Måneskin portassero rock, in italiano e sfondassero letteralmente in tutto il mondo? È una cosa per cui noi italiani siamo rimasti con gli occhi sbarrati tanto è incredibile.

Loro sono l’esempio di quando ci credi nelle cose. Chi si aspettava che il rock andasse così in un mondo nel quale volavano musica elettronica, rap, trap? Arrivano ragazzi con le chitarre, col rock’n’roll, e ora vanno fortissimo in tutto il mondo.

Questo è il modo in cui per me ha senso fare le cose, essere veri con sé stessi, non provare a entrare dentro qualche scatola e andare sul sicuro. Prendere i rischi, esplorare. Potrei nominare anche Conchita Wurst, che era splendida, bellissima, di classe. La canzone era forte.

Sarebbe bellissimo avere l’opportunità di fare questa cosa per la Repubblica Ceca e aprire le porte ad altri nel mondo. Qui ancora aspettiamo che ci sia qualcuno che lo faccia.

Quello che della tua musica vuoi portare in giro è che non è fatta tanto per piacere, ma quella in cui chi c’è sei tu e nient’altro, nel senso buono della cosa.

Sono io. Ho lasciato dentro un messaggio molto forte. Davvero non avevo nessuna aspettativa, perché sapevo che la canzone magari non è il solito modello che magari sentiamo in radio, non c’è batteria, non c’è ritmo veloce. Ha un messaggio forte, un’onestà, qualche magia dentro. Secondo me la canzone lo contiene.

È strano parlare così della mia canzone, non vorrei sembrare narcisista o cose così, però la storia che racconto la vivo da sola. Confrontarsi con le nostre paure, sentirsi ogni tanto vuoti, chiudere gli occhi, sentire nel profondo e trovare questa luce che c’è in ognuno di noi.

Qualcuno la tiene più spenta perché siamo in un periodo difficile, non è facile per nessuno. Credo che con “Jezinky” spero di far sentire qualcosa, qualsiasi cosa sia.

Periodo difficile in cui non ci si è potuti esibire dal vivo, e quando si è potuto non c’erano le persone. In linea generale siamo ancora tante volte in difficoltà.

Ed è vero, assolutamente. Non c’è molto altro da aggiungere, è così. Speriamo che andrà tutto bene. Si è parlato così tanto e non stiamo riuscendo ad uscire da questa situazione. Ora è importante concentrarsi sul momento, sul presente, non vivere troppo nel passato né nel futuro, perché il presente è l’unico momento che abbiamo, quello vero.

Ed alla fine lancia un appello:

Grazie per la bellissima intervista, è stato un onore poter parlare in italiano perché ho fatto tante interviste in inglese. Aspettavo questo momento in cui potermi esprimere per la gente in Italia, perché ci tengo tantissimo.

Vorrei chiedervi questo favore: se vi siete sentiti collegati a me o alla mia canzone, in qualsiasi modo, fino al 15 dicembre (compreso, N.d.R.) c’è la votazione per la selezione nazionale della Repubblica Ceca, ESCZ, e quindi potete dare il voto alla mia canzone “Jezinky”. Sarebbe un onore poterla portare sul palco a Torino.

La votazione è possibile effettuarla online, sull’app dell’Eurovision oppure sul sito ufficiale dell’ESCZ a questo link.


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