Eurovision 2025, intervista agli Shkodra Elektronike (Albania): “Portiamo in gara le nostre radici e un po’ d’Italia”

Non solo Lucio Corsi e Gabry Ponte. All’Eurovision 2025 ci sarà una terza proposta che vedrà sul palco artisti con il passaporto italiano: è “Zjerm” (“Fuoco”) degli Shkodra Elektronìke, il duo crossover che rappresenterà l’Albania e che ha nella sua cifra stilistica il riarrangiamento in chiave elettronica della musica popolare di Scutari, la loro città di origine. Anche loro sono nella prima semifinale, quella di Martedì 13 Maggio e si esibiranno per dodicesimi, proprio dopo Gabry Ponte in gara per San Marino: è la stessa in cui vota l’Italia.
Kole Laça e Beatriçe Gjergj hanno concesso ad Eurofestival News una lunga e variegata intervista, nella quale si è andati anche oltre l’aspetto puramente musicale, spaziando anche sul rapporto con l’Italia e molto altro.
Voi avete entrambi il doppio passaporto italiano e albanese. Siete qui ormai da molto tempo quindi siete in un certo senso i terzi italiani in gara… Ma quando effettivamente siete arrivati qui?
KOLE: Sono arrivato in Italia nel 1992, a 20 anni con quelli della prima ondata, quelli famosi (ride). Personalmente sono però arrivato a Trieste come regolare con una borsa di studio per scienze politiche a Padova
BEATRIÇE: Sono arrivata nel 1997, quando avevo 6 anni, con la mia famiglia a Brindisi. Abbiamo vissuto in tendopoli lì per sei mesi, siamo sbarcati come gli immigrati di quegli anni raccontati sui giornali… Dopo un altro paio di mesi a Brescia ci siamo stabiliti in Umbria a Magione (Perugia). La mia famiglia è ancora tutta lì, ho tanti amici, perché lì ho fatto tutte le scuole e sono cresciuta. Ho fatto vari lavori: all’inizio come cameriera, poi quello più importante in un’azienda tessile a Corciano, alle porte di Perugia. Oggi vivo ad Auronzo di Cadore, ma l’Umbria è ancora parte di me, anche come cantante ho iniziato a suonare lì (l’ultimo gruppo i Lstcat ndr). E ho tanti amici che faranno il tifo per me.
Kole Laça, lei è stato lungamente il tastierista del Teatro degli Orrori, uno dei progetti alternative rock più interessanti della scena italiana, recentemente riformatosi dopo lo scioglimento. Come è nato l’icontro con loro?
KOLE: Dopo la laurea ho ricominciato a fare musica, mi ero diplomato in pianoforte in Albania. Ho vissuto a lungo a Padova e conoscevo uno dei componenti del Teatro degli Orrori, Giulio Ragno Favero, perché appunto suonavo in vari gruppi, con uno di questi, gli East Rodeo avevamo anche prodotto un EP. Con Giulio ci siamo incontrati in un’occasione in cui lui faceva il fonico in uno di questi concerti indie. Nel 2008 mi sono trasferito a Milano, ho fondato il gruppo 2Pigeons e portavo a Giulio i dischi da mixare. Lui ha sentito le mie cose, gli sono piaciute e quando con Pierpaolo Capovilla hanno fatto il tour “Reading Majakovskij” mi hanno chiamato a suonare il piano. Da lì ho cominciato a fare il turnista insieme a Marcello Batelli (chitarrista, oggi marito di Beatriçe ndr) con loro per due anni, diventando parte integrante del gruppo nell’ultimo album, prima che il gruppo si sciogliesse. Le canzoni di quell’album le abbiamo scritte insieme.
L’Umbria e il Teatro degli Orrori sono stati galeotti per la nascita del progetto Shkodra Elektronike…
B: Il nostro primo incontro è avvenuto a Foligno, sempre in Umbria, ad una tappa del tour del Teatro degli Orrori, nel 2019, però in realtà ci seguivamo online da tempo. Avevo trovato su YouTube che aveva realizzato la cover di un vecchio brano scutarino, Turtulleshë (gli Shkodra Elektronike l’hanno poi riarrangiata ndr) Mi piaque molto e così ho cercato di contattarlo con un messaggio, semplicemente per ringraziarlo. Anche perché mi sembrava incredibile aver trovato una persona della mia stessa città, con un background simile al mio, che lavorava nell’underground e più o meno la stessa passione per la musica tradizionale. Io suonavo con un gruppo, gli è piaciuta la mia voce, mi ha invitata alla tappa del tour, ci siamo conosciuti e da lì è nata l’idea di unire le forze.
K: Lei aveva un lavoro da dipendente quindi non è stato facile. Abbiamo suonato alla festa del padiglione Albania/Kosovo della Biennale di Venezia ed era andata bene, è stato uno dei primi concerti insieme. A Maggio 2019, quando dovevo suonare al Germi, il locale di Manuel Agnelli, l’ho chiamata ancora a cantare per un minitour di sei date da fare in una settimana. Lei ha preso le ferie. Poi le date sono aumentate e siamo andati avanti fino al Covid. Il tour si è fermato ma il progetto no.
Come è nata la partecipazione al Festivali i Këngës per un progetto come il vostro che sicuramente è molto lontano dalla musica pop?
B: La partecipazione è nata banalmente dal fatto che il Festival in Albania è seguitissimo. Noi avevamo già presentato una canzone al Festival del 2021 (“E jemja nuse”), cantata da Rezarta Smaja, che arrivò terza. Quella partecipazione ci è servita per tastare un po’ il terreno e siamo rimasti sopresi anche dalla reazione del pubblico. Relativamente all’opportunità di partecipare, ne abbiamo parlato più volte perché è una vetrina importante. Dato che abbiamo pronto un album (otto canzoni inedite ndr) ci è sembrata l’occasione migliore per farci conoscere a più persone possibili che conoscono la nostra lingua. Così abbiamo mandato “Zjerm”, ed è andata bene.
Davvero non avevate capito di aver vinto finché non ve l’ha detto Elvana Gjata?
B-K: Non avevamo capito di aver vinto perché c’era una grande confusione in quel momento, con un sistema di voto complesso e con vincitori diversi, che alla fine ci ha premiato per il voto combinato. Però appunto era tutto molto caotico e lì per lì non ci eravamo accorti di aver vinto…ce l’hanno dovuto dire. Anche Elvana Gjata come noi, non aveva ben capito cosa stesse succedendo. Poi c’è anche il fatto che non ci saremmo mai aspettati di vincere, il nostro stupore. Abbiamo compreso della nostra vittoria dal tabellone finale, ma soprattutto dalle grida di gioia della platea. Fra noi artisti c’era un bel clima.
Il Festivali i Këngës non soltanto è molto seguito dagli eurofans italiani perché è l’unico oltre Sanremo dove si canta con l’orchestra ma anche perchè da qualche anno l’Italia è presenza fissa fra direttori d’orchestra, ospiti, musicisti in giuria, artisti che hanno avuto a che fare con l’Italia (vedi Elsa Lila…)
K: Questo è vero, c’è sempre tanta Italia, a cominciare dalla direttrice artistica di quest’anno che era Elhaida Dani, praticamente è una cantante italiana, vista la carriera (fu la prima vincitrice di The Voice of Italy prima di partecipare all’Eurovision 2015 per l’Albania). Ma non solo: tanti tecnici e fonici sono italiani per cui il legame è davvero forte. Inoltre da qualche tempo c’è sempre in gara un artista arbërshë (cantanti italiani originari delle zone dove l’albanese è madrelingua ndr).
Come è nata invece “Zjerm?”
B: “Zjerm” è nata pensando al Festival. Mi sono domandata che tipo di testo mi piacerebbe sentire in gara nel 2024 e così ho deciso di puntare su un concetto semplice come la gentilezza come speranza. Mi sono immaginata un minuto in cui tutte le cose vanno tutte nel modo giusto, nel mondo e nella vita, un minuto di felicità nel quale non ci sono problemi. Per cui la parte che ho scritto parla di questo: l’ho mandata a Kole ed è stata completata. Io porto la parte luminosa, speranzosa, sognante, quasi utopica e lui fa la controparte.
K: La parte che recito io non è mia, l’ha scritta Lekë Gjeloshi, che è un artista di arte contemporanea di Scutari, nostro amico. Quando Beatriçe mi ha mandato il brano ero proprio a Scutari con lui e gli ho chiesto se avesse voglia di scrivere per noi. Così c’è un recitativo che dice sostanzialmente “perché tutto vada bene c’è bisogno di un fuoco che bruci tutto quello che va male”: insomma è la pesantezza della realtà.
Siete partiti riarrangiando musica popolare scutarina in chiave elettronica, come dice anche il vostro nome. Queste operazioni di solito portano a scoprire o riscoprire la città e le sue canzoni, magari guardandole da un lato diverso. E’ stato così anche per voi?
K: Noi siamo partiti riarrangiando con sonorità elettroniche canzoni tradizionali scutarine, alcune di queste vecchia anche più di 100 anni. Praticamente tutta la nostra produzione tranne una canzone era basata su questo. Da ragazzo la consideravo una musica vecchia, guardavo ad altro, ascoltavo i Nirvana, i Depeche Mode. poi crescendo hai voglia di riscoprire le tue origini. Ho cominciato ad apprezzarle dal punto di vista musicale. Riarrangiandole è stato come riassaporare gusti che già conoscevi però scoprendone le qualità: alcuni brani sono molto vecchi ma allo stesso tempo modernissimi, nelle melodie ma anche nei testi. Per esempio “Vaj si kenka ba dynjaja” che l’ultimo brano pubblicato parla dell’emigrazione degli albanesi in Turchia, delle sofferenze dell’essere immigrato in terra straniero: ed è un brano di inizio XX Secolo. Dopo quasi 150 anni da quel testo, cosa è cambiato per gli immigrati? Diremmo niente.
Avete avuto un piccolo assaggio di Eurovision partecipando ad alcuni eventi preliminari. Che idea vi siete fatti del gruppo che troverete?
K: Abbiamo fatto Salonicco e Oslo, faremo Amsterdam, Manchester, Londra e Madrid. Ci siamo conosciuti, c’è sicuramente voglia di far bene da parte di tutti. Abbiamo stretto amicizia con i VÆB: sono matti fighissimi, credo saranno nostri amici per la vita.
Cosa si aspettano gli Shkodra Elektronike da questa partecipazione all’Eurovision 2025?
B: Soprattutto speriamo di onorare le persone che ci hanno scelto, è questo quello che ci interessa. Non avevamo messo in conto di andare all’Eurovision, perché veniamo da canali diversi, però è successa questa cosa bellissima ed è un onore se pensiamo che c’è gente che magari ci prova da anni e non c’è ancora riuscito. Sicuramente ci divertiremo: l’obiettivo è quello, godercelo tutto al meglio.
L’Eurovision è una sorta di “Champions League” della musica pop: si va alla scoperta degli artisti, dei paesi e delle loro sonorità, non sempre mainstream. Per esempio c’è Gabry Ponte in gara per San Marino e c’è Lucio Corsi in gara per l’Italia…
K: Lucio Corsi lo conosco musicalmente: anche lui se vogliamo è stato catapultato all’Eurovision un po’ per caso. Ed è il bello di questa manifestazione: mette in situazione di parità i Paesi europei a prescindere dalla loro grandezza e dalla tradizione che hanno nel pop. Se pensiamo all’Albania, fino al 1991 non entrava e non usciva niente dai confini perché c’era la dittatura di Enver Hoxha. Solo l’Eurovision permette a musicisti albanesi trovarsi a gareggiare alla pari con italiani, inglesi, francesi, spagnoli, svedesi. E può capitare che anche i grandi Paesi catapultino all’Eurovision artisti magari lontani dal mainstream come era prima Lucio Corsi.
Quest’anno poi sembra essere tornato di moda cantare nella propria lingua: ce ne sono ben 14 in concorso, compreso l’albanese…
K: Questa è un’altra cosa molto bella. L’Eurovision oltre a dare a ciascun Paese di presentare la propria visione del pop, consente di cantarlo nella propria lingua. Sentire il suono, farsi avvolgere da esso anche senza capire il testo, questo è il bello. Per esempio, nel mio caso, ci sono canzoni turche che se non fossero in turco sarebbero normali brani pop. Ma il suono della lingua turca me li fa rendere interessanti, anche se non capisco cosa dica il testo. Ogni lingua ha il suo suono, una sua cantilena. Una determinata canzone, cantata in una lingua piuttosto che in un’altra suona in modo diverso: questo è anche uno dei motivi per cui abbiamo deciso di lasciare “Zjerm” in albanese.
Voi però avete aggiunto una perla in più: l’utilizzo anche del dialetto.
K: La parte di Beatrice è in albanese letterario, la mia è in dialetto ghego, parlato nel nord dell’Albania, dove appunto si trova Scutari e nel Kosovo. Anche questo è parte delle nostre radici.
Con gli Shkodra Elektronìke il dialetto ghego torna quindi all’Eurovision dopo 13 anni. La prima a portarla sul palco eurovisivo è l’artista tuttora titolare del miglior risultato in concorso per l’Albania, ovvero la kosovara Rona Nishliu la cui “Suus”, quinta classificata nel 2012 conteneva alcune parti proprio in quel dialetto.
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