“(Un)fairness in Eurovision”, panel all’Università: canzoni bandite, fan tossici e piccoli Stati

Report live da Basilea · Al dipartimento di musicologia dell’Università di Basilea è andata in scena l’edizione numero 7 di Eurovisions, la conferenza internazionale sull’Eurovision, organizzato da un gruppo di musicologi, dalla Nova Universidade di Lisbona, dall’ateneo di Maastricht, dall’istituto nazionale di musicologia e dal Center for World Music.
“(Un)fairness in Eurovision” è il tema di cui si è parlato, affrontato dal punto di vista degli artisti in gara, di quelli impegnati negli eventi collaterali e da quello delle delegazioni. Moderato da Irving Wolther, erano presenti Gunvor (ultima a zero punti in quota Svizzera nel 1998 col brano “Lass Ihn”); Alessandro Capicchioni, capodelegazione di San Marino e Alan Tubery, dj australiano a lungo animatore dell’Euroclub.
I fan tossici e gli artisti
Parole pesanti quelle di Tubery, messo al bando dall’Euroclub per aver manifestato il suo dissenso verso quelle che definisce “richieste obbligatorie” da soddisfare: “Non sono molto popolare in questo momento fra gli eurofan” spiega.
Sotto accusa la gestione dell’Euroclub:
L’organizzione è a cura di OGAE e ci sono due regole, non possiamo suonare remix e da due anni non possiamo suonare musica israeliana. Io non sono d’accordo, la trovo una forma di censura.
Ma c’è dell’altro:
La regola che non si possono suonare i remix fa parte di una guideline creata perché esiste un gruppo di fanatici il quale pensa di possedere il dj o l’artista e quindi abbia il diritto di dire a loro cosa possono suonare e cosa no o cosa cantare.
Ma noi siamo artisti, non jukeboxes. Per realizzare i remix, le case discografiche e le delegazioni spendono soldi: se non possiamo suonarli all’Euroclub, dove altro possiamo? Questi fanatici vogliono che suoniamo sempre e solo le stesse 20 canzoni, nelle versioni originali. Mi è capitato un anno, in Svezia, davanti ad un pubblico per tre quarti svedese, di essere stato attaccato perché ho suonato Waterloo in svedese.
Sul ruolo dei social media e la tutela degli artisti Tubery è ancora più diretto:
Serve più tutela per gli artisti. I social media al giorno d’oggi servono ma sono un veleno. Posso fare due esempi. Montaigne dopo l’eliminazione in semfinale ha dovuto chiudere i social per qualche periodo, è andata in depressione distrutta dai fan australiani e lasciata sola da SBS.
Chanel vinse il Benidorm Fest con il 4% di vantaggio sui due favoriti Rigoberta Bandini e Tanxugueiras e i fandom di queste hanno iniziato ad attaccarla, salvo poi esaltarla dopo il terzo posto. A quel punto però è stata nuovamente affossata dal coreografo, che aveva i diritti sul suo numero. Non ha potuto più esibirsi perché il suo coreografo aveva i diritti su quell’esibizione e se avesse voluto eseguirla ancora avrebbe dovuto pagare. L’etichetta l’ha scaricata, non è stata invitata quindi l’anno dopo al Benidorm per eseguire una nuova canzone.
San Marino e i piccoli stati
Alessandro Capicchioni si è invece concentrato sul ruolo di San Marino e dei piccoli stati all’Eurovision:
C’è molta più equità, da sei anni a questa parte perché adesso per quanto concerne il palco abbiamo lo stesso trattamento degli altri. Dove invece ho trovato poca chiarezza è stato nel momento del cambiamento delle votazioni, per il fatto che San Marino non ha utenze telefoniche sufficienti per fare da campione statistico e quindi non può televotare.
Non ho nulla in contrario al fatto che abbiano creato un meccanismo per simulare il televoto e consentire ai piccoli Paesi come il nostro di gareggiare, però a noi hanno comunicato il meccanismo a cose fatte, nella nota ufficiale. Non ci hanno consultato, per esempio, per valutare un sistema alternativo.
Ed ha lanciato una proposta “per garantire maggiore equità ed equilibrio”:
Tempo fa ho inviato una proposta all’EBU per aiutare i piccoli Paesi che all’Eurovision sono in difficoltà, perché hanno meno relazioni e meno forza: visto che abbiamo le Big 5 in finale, non per motivi musicali, bensì perché sono i Paesi che hanno fondato e foraggiano l’Eurovision, perché non avere ogni anno a giro in finale un piccolo Paese? Non per motivi musicali, ma perché sono piccoli e più in difficoltà, è lo stesso criterio, al contrario. Chiaramente, si tratta di definire il criterio di “piccolo Paese”, ma questo aiuterebbe.
Gunvor e l’Eurovision 1998
Quando poi la palla è passata a Gunvor, la cantante di origine turca ha prima descritto lo stato d’animo nei momenti successivi al “nul points”:
La gente purtroppo ti mette un’etichetta, io ho fatto zero punti e la gente si ricorda. Chi mi ha sostenuto? Pochi, davvero: la mia famiglia, due o tre amici fidati, il mio management. L’Eurovision è stata comunque una bella occasione, avevo 23 anni, è stata una occasione importante ma dura. All’Eurovision devo comunque tutto, mi sono esibita davanti a milioni di persone.
Quando però si parla del tema specifico, ovvero “unfairness in Eurovision” Gunvor lancia un’accusa che vi lasciamo così nelle sue parole: “Anche l’Eurovision del 1998 fu segnato da una vittoria politica. Una banca (fa il nome, che qui noi omettiamo ndr) ha preso i soldi dalla comunità ebraica che è molto potente e questo è servito a far vincere Dana International”.
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